
25 Ottobre di 45 anni fa: un’ora a tutta velocitàby Francesco Ricci · October 20, 2017
25 ottobre del 1972. Siamo a Città del Messico. L’obiettivo è battere il record dell’ora di 48,654 chilometri detenuto dal danese Ole Ritter. Tutto è pronto. A furia di limare e far buchi, Ernesto Colnago, assecondato in tutto e per tutto dalla Campagnolo, riesce ad allestire una ciclo che pesa 5 chili e 750 grammi. Ci sono volute 200 ore di lavoro. Costo all’epoca della bici? Oltre mezzo milione di lire.
Quella bici, dopo il raggiungimento dell’obiettivo, fa il giro di tutti i musei di arte moderna del mondo, MOMA compreso. Sappiamo già chi deve cavalcare quel cavallo di razza: Eddy Merckx.
Eddy quel giorno si sveglia alle 5,15. Il dottor Angelo Cavalli annota sulla cartella clinica: polso 48, peso 75 kg, pressione arteriosa 50-125. Eddy sembra di buonumore, alle 6.45 è già al velodromo. Pedala dietro moto per circa 45 minuti. La città fa fatica a emergere dalle nebbie dello smog ma sembra che il sole prima o poi salterà fuori. Eddy fa colazione come un ragazzino prima di andare a scuola: pane, burro e marmellata, caffè allungato con acqua, prosciutto cotto. Il suo direttore sportivo, Giorgio Albani, gli consiglia di infilare sotto il body una canottiera. Eddy chiede se deve proprio metterla, sa che ci sarà da sudare come non mai, da soffrire per un’ora come nemmeno sullo Stelvio o sull’Izoard. Albani dice che è obbligatoria, e gli consiglia di usare quella più leggera.
Finalmente si parte, il Cannibale inizia a girare. Sembra un proiettile lanciato sull’anello. L’aspetto più estenuante di un’impresa simile è mantenere sempre alta la concentrazione, scacciare la noia di curvare sempre nello stesso modo, di non poter mai abbandonare la corretta posizione, di non poter staccare il culo dalla sella, di non pensare a niente. I giri passano, sembrano mulinelli nell’acqua. Eddy e la bici sono un tutt’uno, dalle ruote fuoriesce un fruscio leggero e potente. Eddy vola. Al sessantesimo giro però ha quasi una reazione di rigetto, pensa addirittura di fermarsi, di scendere dalla bici e mollare tutto. È un attimo, poi torna a pedalare in quell’anello come se intorno non ci fosse più nulla. Non sente più nulla. Nemmeno le gambe. E le braccia? Non le sente più da un pezzo, incollate come sono al manubrio. Le persone dentro la pista? E chi le vede? Eddy è dentro un vortice che lo risucchia, la testa gira, i pensieri non ci sono più, svaniti nello sforzo. Gli ultimi dieci minuti, a detta degli altri campioni che lo hanno preceduto, sembra che siano i peggiori. Eddy li sbrana quei dieci minuti. Perché non vuole altro che scendere dalla bici. Finalmente scocca l’ora. L’ora del record: 49,431 km. Quasi cinquanta all’ora. Roba pazzesca. Eddy scende dalla bici distrutto. Il dottor Cavalli lo pesa. Tre chili in meno, persi in un’ora di sforzi immani. Però in pochi minuti i valori del Cannibale tornano normali e dopo mezz’ora i battiti sono ottanta. Come se nulla fosse. Un animale, Eddy. Una macchina perfetta. Su una bicicletta perfetta che, a guardarla oggi, fa quasi tenerezza.
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Annunciamo l’imminente uscita del secondo numero di Polvere dedicato alla VELOCITÀ andando indietro nel tempo per ritrovare il Cannibale che si divora l’ora come se niente fosse. O quasi.
