Storie
Dall’Epo alla Maria: la stupefacente storia di Floyd Landis

La vittoria al Tour nel 2006, l’immediata squalifica, la testimonianza che mette nei guai Armstrong, l’isolamento e poi la risalita: oggi Floyd Landis è un uomo ricco, calmo, pacifico, rilassato e contento.

Un tempo i ciclisti erano per la maggior parte figli di contadini. Nati dalla terra, salivano in bicicletta per trovare riscatto. O un’alternativa alla dura vita nei campi. La parabola di Floyd Landis segue la strada inversa: sceso dalla bici si è messo a fare il contadino. Non coltiva cereali, frumento o frutta, non alleva galline, ma erba di quella buona, marijuana di prima qualità.

Non c’è bisogno di fare della facile ironia: sempre di doping stiamo parlando e via con amenità del genere. No, qui si tratta di una storia a lieto fine e che dovrebbe aprire gli occhi ai piani alti che preferiscono prosperare con il mercato nero e fare affari con le cosche piuttosto che depenalizzare l’uso di una sostanza che è usata in molti casi anche per scopi terapeutici.

Torniamo al nostro amico paffuto e sorridente, che se la vive in Colorado e che ha messo su un’azienda coi fiocchi: la Floyd’s of Leadville. La sua erba, prodotta senza usare pesticidi e diavolerie simili, frutta un giro di affari che supera il milione di dollari l’anno. Va detto che in Colorado l’uso della marijuana è lecito e che Landis, con il socio di affari David Zabriskie, famoso al tempo per essere stato il primo corridore vegano, la coltivano per uso terapeutico. Va detto anche che da quando lo Stato del Colorado ha deciso di depenalizzare l’uso della canapa nel giro di pochi anni ha risolto brillantemente i suoi problemi economici: grazie ai proventi di una piccola tassa sulla produzione ha sistemato i conti in rosso e adesso può addirittura pensare in grande in termini di infrastrutture e servizi alla comunità.

Per chi non lo ricordasse, il buon Floyd nasce in Pennsylvania in una famiglia di dottrina mennonita: carità, povertà e purezza sono i cardini di questa chiesa di stampo anabattista. Principi che poco hanno a che fare con l’uso di droghe. Eppure Floyd, pur di vincere, ne consuma parecchia insieme all’ex amico Lance. E nel 2006 riesce a vincere perfino il Tour. Peccato che dopo due giorni gli organizzatori lo squalifichino perché il suo corpo è pieno di epo e cancellino per sempre il suo nome dal libro d’oro. Il resto è storia: Landis inizia a raccontare la sua vita di tossico del pedale e il bel castello di carta creato dall’amico texano crolla definitivamente. Per chi volesse saperne di più può sempre leggersi Positively False. The Real Story of How I Won the Tour de France, il libro che ha messo a nudo la vita dei ‘postini’ e non solo. Nella Us Postal corrono Heras, Hamilton, Hincapie, Ekimov, Livingston, tutti al servizio del texano guarito dal cancro e diventato improvvisamente imbattibile. Che tristezza, a ripensarci. L’impresa più grande e nello stesso tempo fasulla Floyd la compie a Morzine, in maglia Phonak: tutto solo sul Saisies, e poi sull’Aravis, e poi sul Grand Colombier, e poi sul tremendo Joux Plane, facendosi la doccia con decine e decine di borracce, staccando di minuti gli inseguitori e mandando quasi fuori tempo massimo metà del gruppo e vincendo davvero di brutto. Quella vittoria, tra le tante in odore di doping in quegli anni, rappresenta nel modo più schietto il ciclismo degli eccessi, delle imprese incredibili e quindi impossibili.

Oggi però è tutta un’altra storia. Mentre l’ex amico texano deve arrabattarsi alla ricerca di centinaia di migliaia di dollari per risolvere le sue beghe di truffatore, il buon Landis se la spassa con fatturati a dir poco stupefacenti. Come stupefacente è questa vicenda, che per certi aspetti ha dell’incredibile: di doping si muore, ma si può anche rinascere. Perché in fondo la maria, in quasi tutto il mondo, è considerata ancora una sostanza dopante. Che sarebbe ora, come cantava Peter Tosh, di legalizzare al più presto.