
Facciamo il record, non la guerraby Francesco Ricci · October 27, 2017
Alla guerra non ci vuole andare, il fante Angelo Fausto Coppi. Bisogna inventare qualcosa che faccia rumore. È Cavanna il massaggiatore dalle mani fatate a pensarlo, per la gloria del reggimento. Un bel record ad esempio, e il fante rimane a casa. Cavanna scrive a Eberardo Pavesi, l’avocatt, direttore sportivo alla Legnano dicendo che Fausto vuole tentare il record dell’ora che appartiene al francese Archambaud. Lui gli risponde che è matto, ma se proprio insiste gli fa la bicicletta, in casa Legnano sanno come si fa.
Il fante Angelo Fausto si prepara pedalando sulla statale che passa accanto a casa sua, a Villavernia, usando rapporti sempre più duri. In pista non può pedalare perché a Milano ci sono i primi bombardamenti e il velodromo rimane chiuso. Intanto la guerra va a rotoli, quel genio del male di Mussolini le ha sparate davvero grosse, l’esercito non ha mezzi e possibilità per sostenere una guerra così tosta, solo gli uomini, carne da macello, mostrano doti eccezionali di resistenza. Che non bastano a non morire, dalla Russia, all’Africa, passando per la Grecia e l’Albania. Il colonello del reggimento vuole tutti gli uomini a disposizione, non gli importa se Coppi è un giovane campione. In Africa bisogna andare, a contrastare le truppe del generale Montgomery. Però dall’alto, al colonello dicono di lasciar correre il giovane e il colonello abbozza.
Il giovane ventitreenne si allena come può, si nutre da contadino povero, e finalmente arriva al Vigorelli, ovviamente in bicicletta partendo da casa sua al mattino. È il 7 novembre del 1942, un sabato senza vento: Coppi si presenta con un caschetto di cuoio imbottito di feltro, una maglia di lana Legnano a cinque tasche che il sudore e l’aria renderanno via via sempre più pesante, calzoncini e scarpette normali, altro che body affusolati e aerodinamici. La bici è quel che l’è: cerchioni in legno, altroché il duralluminio. I pneumatici sono di seta e a sezione larga, gonfiati ad aria e non ad elio. È il meccanico della Legnano Ugo Bianchi, ma guarda che cognome, ad allestirla come può: la bici pesa sette chili e mezzo e i rapporti sono 52 x 15, con uno sviluppo di 7,38 metri per pedalata. Infine le bombe: la pista da qualche mese non si può dire che sia nelle migliori condizioni. Fa lo stesso. Il pubblico, qualche operaio uscito dall’Alfa Romeo, fa il tifo e c’è pure il colonello a guardare, lui che non sopporta lo sport e gli sportivi. Anteo Carapezzi, ex corridore e direttore del velodromo, stila la tabella di marcia sul record del francese: a ogni giro suona la campana attenendosi a quello. Se la campana suona prima del passaggio, significa che Fausto è in ritardo. Se suona dopo, che Fausto è davanti.
Alle 14,12 il via: è il giudice di gara Cattaneo a togliere le mani dalla bicicletta del giovane campione. Fausto parte veloce, forse troppo. La folla esulta. Il batacchio risuona sempre dopo il suo passaggio. Ai tre quarti d’ora Coppi va in crisi. Non ce la fa più. Cerca di resistere, deve resistere. Il vantaggio è di solo un secondo, campana e passaggio sono quasi allineati. Siamo ai limiti dell’agonia. Alla fine però sono trentuno i metri in più. Il record è stabilito in 45,871 chilometri. La festa dura poco, perché l’allarme aereo convince tutti che è meglio ritirarsi nei rifugi. E il record non serve a nulla: il fante Coppi deve partire lo stesso per la guerra nel reggimento del colonello, 36° Fanteria. Gli danno pure un fucile con la ruggine, dato che l’anno di fabbrica risale al 1891. Ecco come spezzeremo le reni al nemico. I fanti si ritrovano a Sciacca, dormono nelle baracche di legno allestite per i soldati, con pidocchi e cimici annessi. Poi è la volta dell’Africa. Arrivano a Tunisi e infine la truppa giunge nel Maret. Dopo solo tre giorni una pallottola di mitragliatrice spappola il cranio del colonello. Saranno soldati marocchini a fare prigionieri quelli del 36°, compreso il fante Angelo Fausto Coppi, il recordman dell’ora, il ciclista più forte che l’Italia abbia mai avuto. A proposito del record: solo nel 1948 è omologato, e la distanza corretta a 45,798 chilometri. Fausto, a chi gli chiede di ritentare, dice che non ne vuole più sapere: il suono prodotto da quel maledetto batacchio è un incubo che non riesce a cacciare via dalla testa. Sarà Anquetil a batterlo dopo tredici anni e sette mesi.