
Grammont, l’ombra franco-belgaby Federico Guido · October 10, 2016
Il ciclismo, sport di storia, tradizione e quindi simboli, è fatto di luoghi che più di altri si sono consacrati come templi di questa disciplina, guadagnandosi tale riconoscimento attraverso la fatica e il sudore spesi dai campioni lungo quei centimetri, metri, chilometri una volta in terra, oggi quasi tutti ricoperti da lucido asfalto, che hanno portato a imprese straordinarie e storie memorabili.
Le nazioni delle classiche monumento e delle grandi gare a tappe ne sono costellati, ma fra tutti c’è un caso più singolare di altri: sotto lo stesso nome, quello di Grammont, sono riuniti infatti i luoghi più iconici delle due corse maggiormente rappresentative delle Fiandre e delle Loira, regioni ubicate rispettivamente nel nord della Belgio e nel cuore della Francia.
La parola Grammont infatti evoca immediatamente, a chi è affetto dalla passione per le due ruote, quella striscia di pavé che nel comune di Geraardsbergen (in francese Grammont appunto) si inerpica verso la chiesetta di Nostra Signora del Monte Vecchio, palcoscenico fino al 2011 delle fasi finali e delle battaglie più avvincenti tra i fuoriclasse del pedale nel giorno del Giro delle Fiandre. Nel 2017, come un santo che si riappropria del proprio posto nel calendario, questi mille metri al 9% di pendenza media (20% la massima) torneranno ad avere lo spazio che meritano nel percorso della Ronde e verranno nuovamente presi d’assalto da un caloroso e spesso poco sobrio fiume di appassionati, curiosi di scoprire chi prenderà il largo su quelle difficili rampe per provare poi a conquistare una delle gare di un giorno più prestigiose al mondo.
Sebbene il ricordo di questo paese al confine con la Vallonia e della sua famosa asperità sia il primo ad emergere quando si parla di Grammont, vi è anche una seconda immagine (per qualche francese l’ordine potrebbe essere ribaltato) che, qualche istante dopo, si palesa negli occhi e nelle menti dei ciclofili.
Un viale alberato, arteria principale della città, crocevia un tempo di nobili, borghesi, uomini d’affari e clericali che, chi a cavallo e chi in carrozza, lo hanno a lungo animato facendo la spola tra le botteghe del centro e il castello, poi anche sede arcivescovile, che vi sorgeva in fondo. Un viale che ha visto guerre e conflitti dando riparo a molti. Un’avenue che ha vissuto il passaggio fra un’epoca e l’altra, dal medioevo a oggi. Una distesa di platani e castagni lunga più di due chilometri che poi dal 1988, in autunno, ha sempre ricoperto l’ormai grigia e scura pavimentazione in bitume con un leggero strato di foglie giallo-rossastre, spazzate dalla brezza a tratti pungente di ottobre e puntualmente dal brusco e disordinato passaggio dei corridori della Parigi-Tours, che proprio qui terminano la loro fatica in quella che, assieme al Giro di Lombardia, è denominata la classique des feuilles mortes, la classica delle foglie morte.
Una gara malinconica, perché annuncia l’arrivo dell’inverno e l’imminente chiusura della stagione delle due ruote, fatta di contrasti cromatici, stradine e dentelli ma che, in un modo dell’altro, vedrà sempre i corridori solcare con le proprie ruote affilate i profili ombrosi dei secolari alberi dipinti dal sole sull’asfalto: e fra questi forse, davanti agli occhi di qualcuno, comparirà in lontananza come per magia anche la sfumatura cupa di una piccola chiesa in mattoni rossi del XVIII secolo, quella in cima a un celebre Muur.
