
Infinitamente Giroby Federico Guido · October 31, 2016
Il concetto e le questioni sull’infinito hanno, nel corso dei secoli, suscitato dibattiti filosofici, ispirato poeti e cantautori, stregato pittori e arrovellato la mente di matematici. Per taluni l’infinito non era altro che un filo legato alla zampa di ogni uccello che vola, per altri un buco attorno al quale non c’è nulla e per altri ancora invece il vero attributo dell’anima.
A dare però idea di cosa sia l’infinito (che potremmo più semplicemente intendere come qualcosa di indefinibilmente grande, incredibilmente sfuggevole ma allo stesso tempo eterno) possono anche essere un panorama stellato, una profondità marina, il sublime piacere di una bevanda calda in una giornata invernale o l’amore incondizionato per qualcosa o qualcuno.
La centesima edizione del Giro d’Italia, in scena dal 5 al 28 maggio 2017, punta proprio su quest’ultima visione, sostenendola esplicitamente sia a livello di marketing (il claim recita esattamente “amore infinito”) sia grafico (il logo contiene al suo interno il simbolo dell’infinito che, in maniera stilizzata, va a comporre allo stesso tempo il numero 100 e le ruote di una bicicletta) che attraverso il disegno del percorso che i corridori dovranno affrontare nelle ventuno giornate di gara.
La planimetria generale infatti, se posta in orizzontale, ricorda ancora una volta l’infinito elaborato da John Wallis nel XVII secolo: una striscia rosa, dalle parabole imperfette agli estremi, lunga 3572 chilometri che porterà la variopinta macchia del gruppo dalle italiche isole del Mediterraneo alle Dolomiti, spianando prima gli insidiosi litorali del sud e scalando poi le infide salite degli Appennini al centro Italia.
Un viaggio, una risalita, che celebrerà non solo lo splendore e la ricchezza paesaggistico-culturale del Bel Paese ma anche chi, fra memorabili vittorie, brucianti sconfitte ed epiche battaglie ha contribuito e contribuirà a rendere immortale questa disciplina, scaldando i cuori della gente lungo le strade ed elevando il ciclismo a pratica sempre più popolare e amata.
La partenza dalla Sardegna e il proseguo in Sicilia sono un omaggio e un invito ai due nostri migliori esponenti contemporanei delle due ruote, dal prossimo anno rivali, Vincenzo Nibali e Fabio Aru: il primo nelle leggenda è già entrato; il secondo facendo fruttare gli insegnamenti e i consigli ricevuti dal primo ha tutto per entrarci e scrivere così un altro capitolo della ciclica storia dell’allievo che avvicina, affianca e poi spesso supera il maestro.
Una storia questa la cui parte più ampia (e a noi italiani anche più cara) è occupata dal dualismo fra Fausto Coppi e Gino Bartali, campioni che hanno diviso in carriera ma unito tutti quando è arrivato il momento di riconoscerli come icone del pedale e di un’Italia in possesso di grinta, classe e voglia di faticare: con le partenze da Ponte a Ema e Castellania il 100° Giro d’Italia tributerà loro i dovuti onori.
Un simile riconoscimento, fra le tappe dedicate all’ Airone e Ginettaccio, spetterà a Ercole Baldini, il direttissimo e fantastico interprete di un 1958 che al nativo di Forlì portò in dote non solo la maglia rosa ma anche quella arcobaleno di campione del mondo, un colorato lasciapassare per le porte dell’immortalità ciclistica conquistato quindici anni più tardi anche da Nuvola Rossa Felice Gimondi. Il fiero atleta bergamasco, approfittando degli attimi di debolezza del Cannibale, è riuscito a imporsi in ben tre edizioni della Corsa Rosa, l’ultima delle quali nel 1976 prevedeva proprio un arrivo nella sua Bergamo, traguardo che per celebrarlo verrà proposto anche nel 2017. Gimondi però quel Giro d’Italia lo vinse grazie a una prova contro il tempo, battaglia individuale fra l’uomo e l’aria, di egual lunghezza e simile per terreni attraversati a quella che chiuderà la contesa per la maglia rosa nel 2017 a Milano, laddove in una tiepida notte del maggio 1909 tutto è cominciato e laddove è terminata una delle più entusiasmanti imprese che l’Italia delle due ruote ricordi: il successo, l’unico, di Marco Pantani nella corsa tricolore. Un trionfo, quello del Pirata, costruito sulle arcigne pendenze dei passi alpini e sulle alture dell’altopiano di Asiago, asperità che anche quest’anno saranno decisive per decretare il vincitore finale, il quale magari sarà lo stesso che, ispirato da quanto fece il romagnolo nel 1999, sarà stato capace di imporsi anche sul traguardo di Oropa, luogo di rimonta feroce e irresistibile, luogo di religione e di leggende, quella di Pantani e di una corsa che da cento anni e per altri cento ancora col suo fascino magnetico saprà attrarre i cuori più sensibili all’emozione e alla fatica umana, infinite.


















