
La Grande Fraudeby Francesco Ricci · July 26, 2017
Che noia il Tour. Bastano due mini cronometro a decretare lo scontato vincitore. Tutti a parlare di salite, di arrivi spettacolari, di fascino della Grande Boucle: ma quando mai? Qui dobbiamo parlare di grand fraude, di grande truffa. Se non fosse stato per Aru, finché la gamba lo ha sostenuto, non avremmo avuto un’emozione che una.
Già è difficile esaltarsi per il vincitore, figurarsi per un tracciato che non sa esprimere differenza, solo presunzione e indifferenza verso la storia di uno sport che se non sprigiona fatica, brilla di sudore e sfodera l’impresa finisce per essere monotono, proprio come il treno Sky. Così si ammazza il Tour. Con salite lontano dagli arrivi. Con una prima settimana demenziale in cui più che di ciclismo dovremmo parlare di sport estremo. Con un tale tasso di specializzazione che uccide la fantasia, l’irrazionalità, il colpo di testa, la follia. Con i commissari tecnici che telecomandano i ciclisti, i quali sottostanno in tutto e per tutto agli ordini trasmessi via auricolare. Non c’è nostalgia di un tempo che fu in queste parole. C’è la rabbia di assistere a uno sport represso, quindi depresso e mortificato.
Poi, se ci tolgono Sagan fin dall’inizio di cosa stiamo parlando? Del declino di un campione come Contador? Della caduta verticale di Nairo che da condor si fa fagiano? Di un vincitore incapace di vincere una tappa? Nemmeno la crono è riuscito ad aggiudicarsi. Non ci siamo. È vero, i grandi giri sono come il vino, vanno ad annate. Però se si continua così anche lo champagne diventa tourvernello. Oltre ad Aru e un pochino Bardet, l’unico a destare un minimo di gioia è Warren Barguil: il suo arrivo solitario in cima all’Izoard merita rispetto. Tutto il resto è noia. Au revoir.