Storie
La prima delle cento volte del Giro d’Italia. Parte Prima

Nel 2017 si correrà per la centesima volta il Giro d’Italia. La prima edizione scatta nell’anno di grazia 1909: le elezioni politiche confermano la maggioranza liberale, Guglielmo Marconi ottiene il Nobel per la Fisica e Filippo Tommaso Marinetti pubblica il Manifesto Futurista. Come spesso accade in Italia, il Giro nasce da un dualismo, quello che corre fra la Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera. Le due testate milanesi lavorano entrambe, sulla scia del successo ottenuto dal Tour in Francia, alla definizione della prima corsa a tappe sul suolo italiano. Il ciclismo è uno sport non solo popolare ma redditizio. In Italia circolano nel 1909 oltre seicentomila biciclette. Le fabbriche e le botteghe sono disseminate ovunque. Ad ammirare attentamente la locandina della prima edizione del Giro, senza voler anticipare il succo della storia, si può notare come a piè di pagina ci sia quello che oggi chiameremmo sponsor: il marchio dell’Atala è inequivocabile. E noi che ci illudiamo, con la nostra presunzione semplicistica e riduttiva, di inventare ogni giorno di più le tecniche della comunicazione sociale e commerciale.

La sfida tra Guelfi e Ghibellini del ciclismo la vince la Gazzetta dello Sport che, con una certa audacia e per mano del direttore Eugenio Camillo Costamagna, pubblica sul foglio stampato il 24 agosto del 1908 la fatidica notizia: nella primavera dell’anno successivo si correrà la prima edizione del Giro d’Italia. A uscirne bruciata e sconfitta è la cordata capitanata dal Touring club italiano e dall’azienda di biciclette Bianchi che sostiene il Corriere. A vincere è Angelo Gatti, contitolare della Velocipede Atala che appoggia a spada tratta la Gazzetta. Sono i gerenti di Costamagna, vale a dire Armando Cougnet e Tullo Morgagni, a stabilire il tracciato e definire le regole: poco meno di tremila i chilometri da percorrere e venticinquemila lire il montepremi da spartire fra i partecipanti. Il gruppo del Corriere deve piegarsi al fatto compiuto e aderire, suo malgrado, al progetto in cantiere. La ‘mission’ della Gazza è chiara: incrementare lo sviluppo dell’industria ciclistica con nuove idee, progetti e prospettive economiche; rendere ancor più popolare la diffusione del mezzo bici grazie al transito della carovana nei centri urbani e nei luoghi più remoti della penisola; aumentare la diffusione del giornale attraverso la creazione di un’epopea e la divulgazione di un nuovo spirito d’avventura basata sul fatto che i tifosi sono anche e molto spesso accaniti pedalatori.

A quel tempo in Italia le corse che oggi chiamiamo classiche godono di un successo strabiliante e il ciclismo è il principe degli sport. Cougnet e collaboratori immaginano un Giro da svolgere in otto-dieci tappe su strade possibili. Va da sé che il percorso confermi una volta di più come l’Italia sia un paese diviso in due: il nord e il centro hanno strade percorribili, il sud, in virtù di una questione meridionale tuttora irrisolta, no. “Più di trecento chilometri a tappa” Perciò da Milano a Napoli tutto ok (si fa per dire); mentre per quanto riguarda Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna, l’omissione dal Giro è scontata. Menzione a parte merita la Sicilia, che gode già a quel tempo della sua classica annuale. In Sicilia, regione da sempre un po’ speciale, non si va. Sei le squadre che partecipano, capitanate da Atala-Dunlop e Bianchi-Dunlop. All’epoca le industrie di pneumatici per bici avevano la stessa valenza che oggi hanno nei gran premi per le auto e le moto. Le altre sono: Stucchi-Persal, Dei-Michelin, Rudge Whitworth-Pirelli e Labor-Chauvin. Gli iscritti sono centosessantasei di cui ben centodue privi d’ingaggio, vale a dire che se la devono sbrigare da soli in tutto e per tutto. La maggior parte dei corridori risiede in Lombardia, con ampie frange di piemontesi e romagnoli e più sparute di veneti e toscani. Una decina di romani compone il drappello più sudista del gruppo. Il più anziano è il quarantaquattrenne bolognese Enrico Nanni, mentre la legione straniera è composta di sei francesi, tra cui il favorito Petit-Breton, due tedeschi, un belga, un austriaco e un russo. Lucien Petit-Breton, che muore a causa di una ferita subita durante la prima guerra mondiale nel 1917, ha vinto le ultime due edizioni del Tour (07-08) e della prima Milano – San Remo nel 1907. E’ un idolo e un grande uomo. Ne riparleremo.

Gli organizzatori del Giro non considerano i tempi di percorrenza ma i punti accumulati nei vari traguardi. E come nel gioco delle busche o del ciapanò, il tresette al contrario, vince chi fa meno punti. Le bici pesano mediamente quindici chili e dispongono di parafanghi, campanello, pompa, fanalino e due borracce ancorate al manubrio: una per l’acqua, l’altra per il vino. I tubolari pesano circa mezzo chilo l’uno e il rapporto fisso impone di pedalare anche in discesa. La lunghezza dell’itinerario e le pessime condizioni delle strade impongono due giorni di riposo al termine di ogni tappa. Si corre dal 13 al 31 maggio, otto tappe in tutto per oltre duemilacinquecento chilometri. Fate voi la divisione e otterrete così la distanza media di ogni tappa. Vabbè, vi aiuto io: più di trecento chilometri a tappa. I corridori indossano al torace i palmer di riserva e viaggiano con gli attrezzi di scorta, pinze, cacciavite, mastice, viti, filo di ferro, agganciati alla sella. Gli eroi non possono fare rifornimento al di fuori di quelli ufficiali: se sono sorpresi a essere aiutati in qualsiasi modo sono squalificati. La cronaca della corsa è affidata ai giornalisti che comunicano via telefono con la sede milanese della Gazza. Va ricordato che all’epoca il foglio che diventerà in seguito rosa esce ogni tre giorni: lunedì, mercoledì, venerdì. Milano è la capitale indiscussa del Giro: in piazza Castello, all’angolo con via Quintino Sella (dove qui abitava un tempo mia sorella, ma questa è un’altra storia), alle vetrine degli uffici Lancia-Lyon Peugeot sono affissi quotidianamente i dispacci con il resoconto della corsa. In galleria Vittorio Emanuele sono esposte le tabelle dei classificati, che dopo pochi giorni devono essere rimosse a causa della ressa pazzesca di folla. Anche la polizia interviene a redimere l’eccitazione dei tifosi. Ebbene sì, il ciclismo è uno sport popolare che piace da matti.

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01. Gazzetta dello sport, primo Giro d’Italia, 1909
02. Le Figaro, Manifesto futurista
03. Lucien Petit-Breton
04. Luigi Ganna

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