
Sul tetto del Giro d’Italia in un battito d’ali (rosa)by Federico Guido · May 31, 2017
La farfalla, il condor e lo squalo. Messo giù così potrebbe sembrare l’incipit di una favola di Esopo e invece questi tre animali non sono altro che i soprannomi di Tom Dumoulin, Nairo Quintana e Vincenzo Nibali, superbi protagonisti non di una favola bensì di un capitolo, il centesimo, del nostro amato Giro d’Italia.
La gara a tappe italiana conclusasi domenica ha visto infatti il longilineo atleta olandese, abile a sfruttare con il vorticoso turbinio delle sue potenti gambe i complessivi 69,8 chilometri a cronometro che il tracciato 2017 proponeva, resistere alle sfuriate dello scalatore andino e ai morsi dell’indomito corridore messinese che, da soli (sul Blockhaus e a Bormio) o insieme ad altri coraggiosi sfidanti (il francese Pinot, il russo Zakarin e il lucano Pozzovivo, rispettivamente quarto, quinto e sesto in classifica generale), hanno provato a distanziarlo fino alla fine, consci che poi nell’ultima frazione di Milano il nativo di Maastricht avrebbe trovato nelle lancette un solido alleato per stravolgere la graduatoria e far di loro un sol boccone.
E così è accaduto: ispirato dalla partenza collocata in un tempio della velocità come l’autodromo di Monza, nella ventunesima e conclusiva tappa Dumoulin ha messo in moto tutti i suoi cavalli per recuperare il divario dai due rivali e metterseli poi definitivamente alle spalle, andando a sollevare all’ombra delle appuntite guglie del Duomo di Milano il Trofeo Senza Fine del vincitore della corsa.
Una corsa, che partendo dalla Sardegna e risalendo lo stivale transitando dalla Sicilia, ha voluto celebrare i campioni di oggi Aru (sardo di Villacidro, purtroppo assente per colpa di una caduta in allenamento a Sierra Nevada) e Nibali, assieme a quelli di ieri, Bartali e Coppi (partenze da Ponte a Ema e Castellania), e a quelli appartenenti al passato recente: Marco Pantani, ricordato con l’arrivo ad Oropa, e l’indimenticato Michele Scarponi, l’aquila di Filottrano volata via verso lidi irraggiungibili ma sempre presente nei cuori e negli occhi della gente che per tre settimane ha invaso le strade del Paese per salutare il passaggio della colorata carovana del Giro.
Così in molti hanno potuto scoprire e ammirare dal vivo la classe e la velocità di Fernando Gaviria, mattatore incontrastato delle tappe veloci e in generale delle prime due settimane di corsa.
Qui, a intervallare le sparate della freccia colombiana, ci hanno pensato i successi isolati di Gorilla Greipel e Caleb Ewan e alcuni temerari spunti di faticatori della strada alla ricerca di un po’ di gloria personale: Polanc sull’Etna, Dillier a Terme Luigiane, Izagirre a Peschici, Fraile a Bagno di Romagna sono riusciti a capitalizzare la lunga fuga, conquistando con gambe, furbizia e molta audacia traguardi di assoluto spessore.
Da Oropa però musica e scenario sono completamente cambiati: accantonati i traguardi per gli sprinter ecco stagliarsi all’orizzonte le imponenti silhouette delle Alpi e delle Dolomiti, terreno dove Dumoulin, saldamente in maglia rosa dopo la trionfale cronometro del Sagrantino e l’azione d’autorità sulla montagna Pantani, ogni giorno ha dovuto rintuzzare (quasi sempre da solo) un consistente numero di attacchi alla sua leadership portati dagli altri pretendenti al roseo simbolo del primato.
L’olandese però è riuscito fieramente a respingerli tutti, superando con carattere anche le alleanze trasversali strette dagli avversari, la pressione di non aver mai vinto un Grande Giro, le insidie delle alte quote e la loro aria letteralmente stimolante, forte di una grande convinzione nei propri mezzi, della fiducia nel lavoro fatto in fase di preparazione, dell’esperienza maturata alla Vuelta Espana di due anni fa (perse la corsa alla penultima tappa rimanendo vittima di un’imboscata sortita da Fabio Aru e l’Astana) e, nel caso della frazione di Asiago, del benevolo, gratuito e vitale aiuto di uomini senza ormai più ambizioni di classifica (Jungels, Mollema, Yates).
Il caldo, le medie elevate fin dalla prima ora (è stato il terzo Giro più veloce della storia), la quantità sproporzionata di montagne negli ultimi otto giorni di competizione hanno finito per livellare i valori in campo e limare progressivamente le energie di tutti alla stessa maniera, impedendo a chiunque nella terza settimana di fare una vera differenza e scavare distacchi importanti.
Se dunque per vincere il Giro la lotta è stata visibilmente sfiancante, altrettanto si può dire di chi invece ha combattuto per arrivare al traguardo milanese e non terminare fuori tempo massimo. Ecco perché i 161 corridori che hanno terminato la corsa meritano un applauso e le congratulazioni più sincere da parte di appassionati e non: dalla maglia nera Fonzi al 39enne Tiralongo che ha voluto terminare il suo ultimo Giro d’Italia nonostante una frattura ad una costola, tutti hanno saputo evitare le trappole della fatica gettando testa e gambe oltre ogni pendenza, oltre ogni asperità del percorso.
Per questo e visto tutto quello a cui abbiamo assistito per 3609 chilometri e 21 giorni, anche se il braccio di Thibaut Pinot afferma che Solo la vittoria è bella, abbiamo sperato che lo spettacolo di questo #Giro100 non finisse mai, che andasse avanti all’infinito…infinito come l’amore degli italiani per gli eroi del pedale.